Introduzione alla progettazione degli alimentatori

Un alimentatore è un dispositivo in grado di fornire l’energia necessaria al funzionamento di un circuito elettronico, detto carico, prelevando energia dalla rete di distribuzione elettrica. Le principali categorie di questi dispositivi sono rappresentate dagli alimentatori lineari e dagli alimentatori a commutazione (switching). I primi, che sono largamente usati in ambito audio, saranno l’oggetto di questa trattazione.

1. Funzionamento generale

Per comprendere il funzionamento di un alimentatore lineare può essere utile schematizzare le trasformazioni che la corrente alternata della rete elettrica deve affrontare affinché diventi una corrente continua. Nel seguente schema è riassunta la sequenza dei blocchi funzionali impiegati in un generico alimentatore lineare e le relative forme d’onda prodotte da ciascun blocco.

Schema a blocchi di un alimentatore
Fig. 1 – Schema a blocchi di un alimentatore

Il trasformatore ha la funzione di modificare l’ampiezza della tensione alternata presente sulla rete di distribuzione (230 V a 50 Hz in Italia), generalmente riducendola fino ad un valore prossimo a quello della tensione continua richiesta all’uscita dell’alimentatore (fig 1/b). Inoltre, ha il compito di isolare il carico dalla rete di distribuzione elettrica, prevenendo il rischio di folgorazione.

Il raddrizzatore trasforma la corrente alternata in una corrente pulsante unidirezionale (le tensioni sono illustrate in fig 1/c). A seconda dei casi, si possono avere raddrizzatori a onda intera (o a doppia semionda; fig. 2/a) o raddrizzatori a semionda (o a singola semionda; fig. 2/b). Le tipologie verranno meglio analizzate in seguito.

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Fig. 2 – Tensioni raddrizzate ad onda intera (a) e a singola semionda (b)

Il filtro di livellamento è solitamente costituito da un condensatore, che è capace di immagazzinare energia in un campo elettrostatico per poi cederla. Questo ha lo scopo di livellare la tensione pulsante generata dal radrizzatore in modo da ottenere una tensione continua (fig. 1/d). In pratica, il valore istantaneo di questa tensione oscilla intorno ad un valore medio. Quest’oscillazione prende il nome di oscillazione residua (ripple), ed è generalmente un fattore sgradito che si cerca di minimizzare entro livelli accettabili che dipendono dal tipo di applicazione. Le due tensioni pulsanti raffigurate precedentemente assumono rispettivamente l’andamento della figura seguente.

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Fig. 3 – Tensioni livellate ad onda intera (a) e a singola semionda (b)

L’ultimo stadio illustrato in fig. 1 rappresenta il regolatore (o stabilizzatore) di tensione. Esso è usato qualora sussista la necessità di avere una tensione stabile e predefinita all’uscita. In pratica è spesso necessario regolare la tensione d’uscita, per cui molti produttori di circuiti integrati hanno reso disponibili in commercio diverse tipologie di regolatori di tensione.

2. La regolazione della tensione d’uscita

La regolazione della tensione d’uscita permette all’alimentatore, entro certi limiti, di comportarsi come un generatore ideale di tensione.

Per introdurre semplicemente il concetto della regolazione, si immagini un alimentatore al quale venga connesso un generico carico \(R_L\) da alimentare.

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Fig. 4 – Alimentatore con carico collegato all’uscita

Se all’aumentare della corrente assorbita dal carico la tensione d’uscita dell’alimentatore si riduce proporzionalmente, allora l’alimentatore non è stabilizzato. Se invece, anche variando la corrente assorbita dal carico, la tensione d’uscita rimane praticamente costante (almeno entro certi limiti) allora l’alimentatore è stabilizzato. È possibile confrontare i grafici delle caratteristiche VI nei due casi.

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Fig. 5 – Caratteristiche di un alimentatore non-stabilizzato (a) e stabilizzato (b)

In un alimentatore non stabilizzato (fig. 5/a) si ha una massima tensione a vuoto, \(V_v\), quando la corrente d’uscita nulla. La tensione cala all’aumentare della corrente assorbita dal carico, fino ad annullarsi alla corrente di cortocircuito, \(I_{cc}\), che corrisponde alla massima corrente erogabile dall’alimentatore cortocircuitando i morsetti d’uscita. Invece, in un alimentatore stabilizzato la tensione stabilizzata, \(V_s\), rimane costante indipendentemente dalla corrente assorbita dal carico, fino ad una massima corrente, \(I_{max}\), oltre la quale la stabilizzazione non ha più efficacia (per via dei limiti progettuali) e l’alimentatore inizia a comportarsi come un alimentatore non stabilizzato. Questo permette dunque anche di minimizzare il ripple e di rendere la tensione d’uscita quasi indipendente dalla corrente assorbita dal carico e dalle variazioni della tensione di rete (cose non possibili negli alimentatori non stabilizzati).

3. Il ripple

Il ripple (o ondulazione residua) è un fattore indesiderato in un alimentatore. Anche se esso è inevitabilmente presente quando si ottiene una tensione continua da una alternata, la sua ampiezza può essere più o meno tollerata dipendentemente dal tipo di applicazione Il ripple è dato dall’oscillazione intorno al valor medio della tensione d’uscita; in particolare, il suo andamento simile a quello di un’onda a dente di sega sovrapposta ad una tensione continua, la cui ampiezza picco-picco \(V_r\) è data dalla sua massima variazione e la sua frequenza è quella della tensione pulsante raddrizzata (50 Hz del caso di un raddrizzatore a semionda e 100 Hz nel caso di un raddrizzatore ad onda intera).

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Fig. 6 – Andamento dell’ondulazione residua

\(V_o\)rappresenta il valor medio della tensione d’uscita. Pertanto, i valori estremi assunti dalla tensione d’uscita sono compresi nell’intervallo \(V_{o} \pm \frac{V_{r}}{2}\). L’ampiezza del ripple \(V_r\) aumenta all’aumentare della corrente assorbita dal carico e al diminuire della capacità del condensatore di livellamento secondo la seguente relazione: \[V_{r}\simeq\frac{I_{o}}{f_{p}C}\] dove \(I_o\) è la corrente assorbita dal carico, \(f_p\) la frequenza della tensione pulsante raddrizzata (\(f_p\) = 50 Hz nel caso di un raddrizzatore a singola semionda, e \(f_p\) = 100 Hz nel caso di un raddrizzatore ad onda intera) e \(C\) è la capacità del condensatore di livellamento. Dalla stessa relazione è evidente che l’ampiezza del ripple è tanto minore quanto maggiore è la sua frequenza. Per questo motivo, i raddrizzatori a singola semionda presentano un’ondulazione residua doppia di quelli a onda intera.

Esempio 1: Si calcoli l’ampiezza del ripple presente all’uscita di un alimentatore non stabilizzato a doppia semionda se la corrente assorbita dal carico vale 100 mA e la capacità di livellamento è di 2200 µF. Si calcolino inoltre i valori estremi assunti dalla tensione d’uscita, sapendo che il valor medio di quest’ultima è di 10 V.

Soluzione: Per un raddrizzatore a doppia semionda si ha che \(f_p\) = 100 Hz, per cui è possibile conoscere l’ampiezza del ripple che vale:

\(V_{r}\simeq\frac{I_{o}}{f_{p}C} = \mathrm{\frac{100\, mA}{100\, Hz\times 2200\, \mu F}=0,45\, V} \)

L’intervallo dei valori assunti dall’alimentazione è quindi:

\(V_{o} \pm \frac{V_{r}}{2}=\mathrm{10\, V \pm \frac{0,45\, V}{2}=(9,78\,V;10,2\, V)}\)

Dunque, si ha che la tensione d’uscita oscilla tra \(V_{o(min)}\) = 9,8 V e \(V_{o(max)}\) = 10,2 V.


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