Nella progettazione di un alimentatore non stabilizzato si procede spesso a ritroso, ovvero partendo dalla tensione continua richiesta all’uscita dell’alimentatore si risale alle caratteristiche dei componenti da impiegare. In questa seconda parte si analizzerà il dimensionamento dei tre componenti fondamentali di un alimentatore non stabilizzato, ovvero:
- il trasformatore
- il raddrizzatore
- il condensatore di livellamento
Per ognuno di essi verranno sottolineati gli aspetti dai quali prescinde la loro scelta. I concetti illustrati sono gli stessi che verranno poi applicati per la realizzazione degli alimentatori stabilizzati.
1. Caratteristiche del trasformatore
Per quanto riguarda il trasformatore, durante la progettazione di un alimentatore è importante determinare i seguenti aspetti:
- la tensione efficace del primario
- la tensione efficace del secondario
- la potenza apparente in VA
Questi fattori dipendono rispettivamente:
- dalla tensione della rete di distribuzione elettrica
- dalla tensione richiesta all’uscita dell’alimentatore non stabilizzato
- dalla corrente richiesta dal carico
1.1 La tensione del primario
La tensione del primario dipende dalla tensione della rete di distribuzione elettrica, che è di 230 V ±10% in Italia. È importante conoscere la massima variazione percentuale (tolleranza) della tensione di rete in quanto essa si ripercuote in ugual proporzione sul secondario del trasformatore, quindi sull’uscita dell’alimentatore se quest’ultimo non risulta stabilizzato. Pertanto è necessario tener conto di queste variazioni affinché la tensione presente all’uscita dell’alimentatore non scenda mai al di sotto del valore richiesto; infatti, per la maggior parte delle applicazioni è conveniente avere a disposizione una tensione maggiore di quella necessaria, piuttosto che averne una inferiore.
1.2 La tensione del secondario
La tensione efficace Veff richiesta sul secondario del trasformatore viene solitamente calcolata in base alla tensione continua Vo richiesta all’uscita dell’alimentatore non stabilizzato secondo la relazione: \[V_{eff}=\frac{V_{o}+V_{D}}{\sqrt{2}}\] dove VD è la caduta di tensione introdotta dal raddrizzatore. Questo valore è mediamente di ~0,7 V nei diodi al silicio, ma viaria in proporzione alla corrente che circola nel diodo (per elevate correnti conviene considerare VD ≈ 1 V). Nei raddrizzatori a ponte di diodi si considera una caduta di tensione doppia in quanto la corrente alternata transita sempre in una coppia di diodi per volta, per cui si considera VD ≈ 1,4 V (e VD ≈ 2 V per elevate correnti). Tuttavia, la (1) non tiene conto delle fluttuazioni della tensione di rete che si ripercuotono sul secondario.
Pertanto, per compensare una tolleranza in difetto del 10% della tensione di rete in modo che la tensione continua non stabilizzata in uscita all’alimentatore non risulti mai inferiore a quella desiderata, è conveniente tenere conto di questo fattore.
\[V_{eff}=1,1\times\frac{V_{o}+V_{D}}{\sqrt{2}}\]
In questo modo è possibile avere un’idea migliore di quale tensione dovrà presentare il trasformatore sul suo secondario per garantire una tensione all’uscita dell’alimentatore uguale o maggiore di quella richiesta.
Esempio 1.2: si calcoli la tensione in Veff necessaria sul secondario di un trasformatore affinché si ottenga una tensione d’uscita di almeno 10 V raddrizzata mediante un raddrizzatore a ponte di diodi, considerando anche le fluttuazioni della tensione di rete.
Soluzione: per il ponte di diodi si assume Vd = 2 V, per cui la tensione in Veff necessaria sul secondario deve essere di circa:
\(1,1\times \frac{V_{o}+V_{D}}{\sqrt{2}}=\mathrm{1,1\times \frac{10\,V+2\,V}{\sqrt{2}}=9,4\,V}\)
La formula precedentemente descritta vale per trasformatori ideali e, con buona approssimazione, per trasformatori reali ai quali siano richieste correnti modeste (indicativamente all’ordine dell’ampère). Tuttavia, quando le correnti in gioco diventano grandi, la resistenza interna del trasformatore ha l’effetto di introdurre cadute di tensione non più trascurabili.
Pertanto, quando sono richieste elevate potenze si rende necessario considerare anche la resistenza interna del trasformatore. La mancanza di dati a proposito non consente di fare una stima precisa, ma è possibile immaginare con buona approssimazione una perdita del 10% rispetto alla tensione Veff teorica. In questo modo, è possibile calcolare la tensione efficace sul secondario:
\[V_{eff}=1,21\times \frac{V_{o}+V_{D}}{\sqrt{2}}\]
Il coefficiente 1,21 tiene conto sia del 10% di caduta di tensione sul secondario che della fluttuazione della tensione di rete.
1.3 La potenza apparente
La potenza apparente del trasformatore è legata alla sua capacità di erogare potenza e, di conseguenza, anche alle sue dimensioni fisiche ed al suo peso (fig. 1).
La potenza apparente PA viene solitamente espressa in VA (voltampère) ed è data dal prodotto della corrente efficace Ieff e dalla tensione efficace Veff del secondario.
\[P_{A}=I_{eff}V_{eff}\]
Per determinare la corrente efficace Ieff è necessario conoscere la corrente Io assorbita dal carico, ovvero quella richiesta all’uscita dell’alimentatore. Poiché la corrente richiesta al secondario presenta una forma d’onda piuttosto complessa, non è semplice eseguire un calcolo esatto della corrente efficace. Tuttavia, è possibile stimare con una ragionevole approssimazione la corrente efficace in questo modo: \[I_{eff}\simeq kI_{o}\] dove k è una costante specifica, misurata empiricamente, che dipende dal tipo di circuito impiegato come indicato nella tabella seguente.
k | Tipologia dell’alimentatore |
---|---|
1,2 | Alimentatori ad onda intera, con uscita singola con trasformatore a presa centrale |
1,8 | Alimentatori ad onda intera, con uscita singola o duale, con ponte di diodi |
2,2 | Alimentatori a singola semionda |
I fattori numerici indicati permettono di ottenere una buona stima della corrente efficace Ieff richiesta al trasformatore. Le configurazioni descritte veranno poi esaminate in dettaglio. Per praticità, è possibile riscrivere l’equazione della potenza apparente in funzione della corrente assorbita dal carico Io e della tensione efficace Veff sul secondario del trasformatore per le varie configurazioni.
\[P_{A}\simeq kI_{o}V_{eff}\]
Nel caso il trasformatore disponga di più secondari, la potenza apparente complessiva sarà data dalla somma delle singole potenze apparenti dei secondari.
Esempio 1.3: si calcoli la potenza apparente necessaria per un trasformatore impiegato con un ponte di diodi con secondario a 10 Veff. L’alimentatore deve fornire una corrente continua di 1,6 A.
Soluzione: nel caso descritto, si ha che k = 1,8, quindi la potenza apparente del trasformatore vale
\(P_{A}\simeq kI_{o}V_{eff}=\mathrm{1,8\times 1,6\,A\times 10\,V=28,8\,VA}\).
2. Caratteristiche del raddrizzatore
Il raddrizzatore viene generalmente realizzato per mezzo di diodi a giunzione che, disposti in determinate configurazioni che verranno meglio definite in seguito, permettono di ottenere una tensione pulsante partendo da una tensione alternata. Nel caso dei diodi, per effettuare la loro scelta è utile determinare:
- la corrente che circola in essi
- la massima tensione inversa ai quali sono sottoposti
Tali fattori dipendono rispettivamente:
- dalla corrente richiesta dal carico connesso all’uscita dell’alimentatore
- dal valore di picco della tensione raddrizzata
2.1 La portata di corrente
Nei manuali dei costruttori, viene riportato il parametro Average Rectified Forward Current, IF(AV), che rappresenta la massima corrente continua che può circolare nel diodo senza danneggiarsi. Tuttavia, nei manuali è anche riportato il parametro non-repetitive peak forward surge current, IFSM, di gran lunga più interessante nella progettazione degli alimentatori. Infatti, questo parametro è riferito alla corrente pulsante che il diodo può sopportare se impiegato come raddrizzatore. Il suo valore risulta sempre assai più alto di quello del parametro IF(AV). Per la scelta del componente, è necessario conoscere la corrente efficace Ieff secondo la formula già citata \( I_{eff}\simeq kI_{o}\), dove k è la costante specifica per il circuito scelto e Io è la corrente richiesta all’uscita dell’alimentatore. Il parametro IFSM deve essere abbastanza maggiore della Ieff ottenuta teoricamente (ad esempio si può scegliere un diodo con IFSM ≥ 3Ieff).
Nelle applicazioni di potenza vengono spesso impiegati diodi raddrizzatori o ponti di diodi predisposti per il montaggio su dissipatore al fine smaltire velocemente il calore generato. La temperatura di giunzione Tj (°C) è legata alla potenza dissipata Pd (W) nel diodo ed alla temperatura ambiente Ta (°C) nel quale esso si trova a lavorare secondo questa relazione.
\[T_{j}\simeq \theta P_{d}+T_{a}\]
Nella quale θ (theta) indica la resistenza termica (°C/W) del dispositivo, che rappresenta la difficoltà nello smaltire il calore prodotto dal dispositivo durante il suo funzionamento. Questo dato dipende dal dispositivo ed è indicato nei manuali dei costruttori. Se la temperatura di giunzione risulta prossima o maggiore a quella massima ammessa dal costruttore (anche questo dato è indicato nei manuali e solitamente si aggira intorno ai 150 °C) è necessario far uso di un dissipatore al fine di ridurre la resistenza termica complessiva.
In ogni modo, si noti che nelle applicazioni a bassa potenza non risulta quasi mai necessario far uso di un dissipatore. Infatti, se si considera che nel diodo si ha mediamente una caduta di tensione VD ≈ 1 V, la potenza Pd dissipata dal diodo risulta esigua per modeste correnti ID che scorrono nel diodo.
\[P_{d}\simeq I_{D}V_{D}\]
Nel caso dei ponti di diodi, dove la corrente circola contemporaneamente in due diodi, la potenza complessiva dissipata dal ponte risulta chiaramente raddoppiata.
Esempio 2.1: In un diodo BY233 viene fatta scorrere una corrente continua di 45 A. Si deduca la potenza dissipata, la temperatura di giunzione e si valuti l’eventuale necessità di un dissipatore.
Soluzione: la potenza dissipata nel diodo vale circa
\(V_{D}I_{D}=\mathrm{1\,V\times 45\, A=45\, W}\)
Il manuale del BY233 riporta una resistenza termica in aria θ = 3 °C/W, per cui alla temperatura ambiente media Ta di 25 °C, la temperatura di giunzione sarà di circa
\(\theta P_{d}+T_{a}=\mathrm{3\, ^{o}C/W\times 45\, W+25\, ^{o}C=160\, ^{o}C}\)
Poiché il costruttore ammette una tensione massima di giunzione di 150 °C, è necessario un dissipatore.
2.2 La tensione inversa
Durante il funzionamento, è necessario che il diodo resista ad una certa tensione inversa senza scaricare per effetto Zener. Il valore della tensione inversa VR applicata al diodo è dato dal valore della tensione raddrizzata in uscita all’alimentatore Vo e dalla caduta di tensione VD nel diodo secondo questa relazione.
\[V_{R}= 2\times V_{o}+V_{D}\]
Considerando anche la fluttuazione del 10% della rete elettrica, l’equazione assume la seguente forma.
\[V_{R}\simeq2,2\times V_{o}+V_{D}\]
Anche qui, la VD è di circa 1 V nel caso dei diodi al silicio singoli e di 2 V nel caso dei raddrizzatori a ponte. La massima tensione inversa tollerabile da uno specifico diodo viene generalmente indicata nei manuali dei costruttori come Peak Repetitive Reverse Voltage, VRRM. Nella pratica, dati i modesti costi del componente, si sceglie solitamente un diodo con VRRM molto maggiore della VR ottenuta teoricamente.
Esempio 2.2: si consideri un alimentatore non stabilizzato, facente uso di un raddrizzatore a ponte, la cui tensione d’uscita sia di 10 V. Sapendo che il carico assorbe una corrente di 800 mA, determinare: la corrente del diodo, la tensione inversa ed il modello del ponte raddrizzatore.
Soluzione: la corrente che il diodo dovrà sopportare deve essere maggiore di
\(I_{eff}=kI_{o}=\mathrm{1,8\times800\, mA=1,44\, A}\)
La massima tensione inversa presente sul diodo sarà circa
\(V_{R}=2,2\times V_{o}+V_{D}=\mathrm{2,2\times 10\,V+2\, V=24\, V}\)
È possibile impiegare un ponte raddrizzatore WL06F (IFSM = 30 A, VRRM = 600 V) in quanto soddisfa tutti i requisiti appena calcolati.
2.3 Il rumore da recupero inverso
Quando un diodo viene sottoposto ad una brusca inversione di tensione, come accade nei raddrizzatori, esso continua a comportarsi per un certo tempo come un buon conduttore nonostante sia polarizzato inversamente. La durata di questo fenomeno è, mediamente, di pochi μs nei diodi comuni, ma ha l’effetto di generare un transiente sulla tensione raddrizzata ad ogni inversione di polarità della tensione alternata, producendo del rumore indesiderato. Per minimizzare tale problema è possibile far uso di diodi veloci (ovvero con basso tempo di recupero) o collegare un condensatore ceramico da qualche centinaio di nF in parallelo a ciascun diodo raddrizzatore.
3. Caratteristiche del condensatore di livellamento
Per quanto riguarda i condensatori di livellamento, occorre determinare:
- la capacità
- la tensione di lavoro
Questi fattori dipendono rispettivamente:
- dalla corrente assorbita dal carico e dall’ampiezza di ripple che si vuole ottenere
- dalla tensione d’uscita dell’alimentatore
3.1 Calcolo della capacità
Come già detto, la capacità del condensatore di livellamento dipende dalla corrente Io assorbita dal carico e dall’ampiezza Vr del ripple che si intende ottenere, secondo la seguente relazione approssimata.
\[C\simeq\frac{I_{o}}{f_{p}V_{r}}\]
Dove fp indica la frequenza della tensione pulsante raddrizzata (50 Hz nei raddrizzatori a singola semionda e 100 Hz nei raddrizzatori ad onda intera) Dalla formula si deduce che la capacità del condensatore è tanto più grande quanto maggiore è la corrente assorbita dal carico e quanto minore è l’ampiezza del ripple.
Poiché quasi sempre è necessario far uso di condensatori elettrolitici, la cui capacità può variare mediamente del ±20%, è conveniente far uso della formula che segue che tiene conto anche della loro tolleranza in difetto.
\[C\simeq1,2\times\frac{I_{o}}{f_{p}V_{r}}\]
Nella pratica ingegneristica, si ricorre comunemente a 10000 µF per ogni ampere di corrente richiesto all’uscita.
3.2 Stima della tensione di lavoro
La tensione di lavoro Vl ai capi del condensatore corrisponde alla tensione d’uscita Vo dell’alimentatore. Anche qui è necessario considerare eventuali fluttuazioni della tensione di rete.
\[V_{l}=1,1\times V_{o}\]
Anche in questo caso è conveniente arrotondare il valore ricavato teoricamente al valore normalizzato immediatamente superiore.
Esempio 3.2: si consideri un alimentatore con tensione d’uscita di 18 V, progettato per fornire un ripple massimo di 1 V a 250 mA di assorbimento. Si dimensioni: la tensione di lavoro del condensatore di livellamento e la sua capacità sapendo che il raddrizzatore impiegato è ad onda intera.
Soluzione: la massima tensione di lavoro del condensatore vale
\(1,1\times V_{o}=\mathrm{1,1 \times 18\, V=19,8\, V}\)
Si può scegliere un modello da 25 V. Il raddrizzatore a doppia semionda produce una frequenza pulsante fp = 100 Hz, per cui la capacità del condensatore vale
\(1,2\times \frac{I_{o}}{f_{p}V_{r}}=\mathrm{1,2 \times \frac {250\,mA}{100\,Hz\times1\,V}=3000\,\mu F}\)
Questo valore può essere normalizzato a 3300 µF.
3.3 Note sul condensatore di livellamento
In alcuni casi, in particolare quando non è possibile impiegare un condensatore a bassa ESR, può essere utile inserire un condensatore ceramico di modesto valore (qualche centinaio di nanofarad) in parallelo al condensatore di livellamento. Questo condensatore permette in alcuni casi di migliorare il filtraggio alle alte frequenze, compensando in parte gli effetti della ESR del condensatore elettrolitico di livellamento. Un altro approccio può essere quello di impiegare diversi condensatori elettrolitici in parallelo per raggiungere il valore richiesto. Tuttavia, il collegamento di più condensatori in parallelo e la scelta della loro tipologia sono aspetti che devono essere valutati con attenzione, dal momento che scelte errate possono compromettere la stabilità di alcune tipologie di circuiti.
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